domenica 2 ottobre 2011

Great Women's Portrait: Saffo, la più grande poetessa di tutti quanti i tempi.

Buon pomeriggio Amici! Come state? Come procedete la vostra domenica pomeriggio? Qui dalle parti di Casolandia tutto bene anche se Casmi e Rosbì si sentono leggermente stanche, che volete farci, durante il week-end anzicchè riposarsi consumano ancora più energie!Vabbè c'est la vie... Anche perchè stanno per ricaricarsi all'idea di questo bel post, una bella scarica di energia positiva. Volete sapere di cosa andremo a parlarvi? Andiamo a riprendere gli appuntamenti con la rubrica sulle grandi donne del passato, presentandovi quest'oggi la prima e più grande poetessa di tutti i tempi (rullo di tamburi prego): Oggi qui solo per noi, in esclusiva, Saffo!!!

 << C'è chi dice sia un esercito di cavalieri, c'è chi dice sia un esercito di fanti,
c'è chi dice sia una flotta di navi, la cosa più bella
sulla nera terra, io invece dico
che è ciò che si ama >>

Saffo, (Ereso, 640 a.C. circa – Leucade, 570 a.C. circa) è stata una poetessa greca antica vissuta tra il VII e il VI secolo a.C., di famiglia aristocratica , nacque a Mitilene, nell'isola di Lesbo, attorno al 640 a.C., ma trascorse la maggior parte della propria vita a Mitilene, la città più importante dell'isola.
Non si conoscono né la data precisa della sua morte (anche se da un suo componimento si può desumere che abbia raggiunto la tarda età), né le circostanze in cui avvenne. Dato leggendario, ripreso dagli antichi commediografi, è che si sia gettata da un faro sull'isola di Lefkada, vicino alla spiaggia di Porto Katsiki, per l'amore non corrisposto verso il giovane battelliere Faone, che è invece in realtà personaggio mitologico. Tale versione è ripresa anche da Ovidio, Heroides, XV e G. Leopardi ne L'Ultimo canto di Saffo.
Le notizie riguardo alla sua vita ci sono state tramandate grazie al Marmor Parium, al lessico Suda, all'antologista Stobeo, a vari riferimenti di autori latini (come Cicerone e Ovidio), e alla tradizione dei grammatici. Di famiglia aristocratica, per motivi politici da bambina seguì la famiglia in esilio in Sicilia, per una decina d'anni, a causa delle lotte politiche tra i vari tiranni che vi erano allora a Lesbo ma poi ritornò a Mitilene dove curò l'educazione di gruppi di giovani fanciulle, incentrata sui valori che la società aristocratica richiedeva a una donna: l'amore, la delicatezza, la grazia, la capacità di sedurre, il canto, l'eleganza raffinata dell'atteggiamento.Nel quadro dell'eros omosessuale dell'epoca, diverso da quello delle epoche successive e dettato da un preciso contesto culturale, scrisse liriche che alludono a rapporti di tipo omosessuale con le sue giovani studenti (dedicò a una di loro la poesia "A me pare uguale agli dei"). Non è affermabile né respingibile con sicurezza che i rapporti cui la poetessa allude fossero reali e non semplicemente autoschediastici, interpretazioni autoricavate dal contesto.
Ebbe tre fratelli, Larico, coppiere nel pritaneo di Mitilene, Erigio, di cui si conosce solo il nome, e Carasso, un mercante, che durante una missione in Egitto pare, dalle poesie di Saffo, che si fosse innamorato di una cortigiana, Dorica, rovinando economicamente la sua famiglia.
In alcuni versi Saffo prega affinché sia garantito un ritorno sicuro al fratello per poter essere riammesso in famiglia e lancia una maledizione alla giovane donna. Secondo leggende legate ad alcuni versi del poeta lirico Alceo, ancora una volta per autoschediasmo questi fu ritenuto il suo amante; ma gli stessi poeti antichi smentirono questa ipotesi, ritenendo che i versi in questione erano da interpretare come un'idealizzazione non autobiografica. Da riconoscere è però che Alceo conobbe la poetessa, prima che questa fuggisse a causa delle guerre dei tiranni, e la ritrae, in uno dei suoi componimenti, come una donna bella e piena di grazia, dal fascino raffinato, dolce e sublime, sfatando così le leggende che aleggiavano intorno alla sua non avvenenza fisica, tanto da portarla a togliersi la vita per amore, non corrisposto, nei confronti del giovane Faone.
La Suda dice che Saffo sposò un certo Cercila di Andros, nota evidentemente falsa e tratta dai commediografi, dal marito ebbe comunque una figlia di nome Cleide a cui dedicò alcuni splendidi e teneri versi. Alcuni versi proverebbero che la poetessa raggiunse un'età avanzata ma il dato non giunge a sicurezza poiché era usanza comune tra i poeti lirici di utilizzare la prima persona in modo convenzionale.
Gli antichi furono concordi nell'ammirare la sua maestria. Solone, suo contemporaneo, dopo aver ascoltato in vecchiaia un carme della poetessa, disse che a quel punto desiderava due sole cose: impararlo a memoria e morire. Strabone, a distanza di secoli, la definì :"un essere meraviglioso".
Gli studiosi della biblioteca di Alessandria suddivisero l'opera della poetessa in otto o forse nove libri, organizzati secondo criteri metrici: il primo libro, ad esempio, comprendeva i carmi composti in strofe saffiche, ed era composto da circa 1320 versi.
Di questa produzione ci rimangono oggi pochi frammenti: l'unico componimento conservatoci integro dalla tradizione è il cosiddetto Inno ad Afrodite (fr. 1 V.), con cui si apriva il primo libro dell'edizione alessandrina della poetessa. In questo testo, composto secondo i criteri dell'inno cletico, Saffo si rivolge alla dea Afrodite chiedendole di esserle alleata riguardo a un amore non corrisposto.
Tra gli altri componimenti che ci sono noti in maniera frammentaria si può ricordare almeno il fr. 31 V., Fainetai moi kenos isos theoisin, cui si fa spesso riferimento come "ode della gelosia". Il contenuto di questo carme, in realtà, ci sfugge in larga parte, dato che non ne conosciamo la conclusione; nella parte conservata, Saffo descrive le reazioni dell'io lirico al colloquio tra una delle ragazze del tiaso e un uomo, presumibilmente il promesso sposo di costei. La vista della ragazza suscita in chi dice 'io' una serie di sintomi (sudore, tremito, pallore) che sembrano adombrare un vero e proprio attacco di panico. Questo componimento fu imitato da Catullo nel suo carme 51 (Ille mi par esse deo videtur).

Inno Ad Afrodite
« Afrodite eterna, in variopinto soglio,
Di Zeus fìglia, artefice d'inganni,
O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio,
Di noie e affanni.

E traggi or quà, se mai pietosa un giorno,
Tutto a' miei prieghi il favor tuo donato,
Dal paterno venisti almo soggiorno,
Al cocchio aurato

Giugnendo il giogo. I passer lievi, belli
Te guidavano intorno al fosco suolo
Battendo i vanni spesseggianti, snelli
Tra l'aria e il polo,

Ma giunser ratti: tu di riso ornata
Poi la faccia immortal, qual soffra assalto
Di guai mi chiedi, e perché te, beata,
Chiami io dall'alto.

Qual cosa io voglio più che fatta sia
Al forsennato mio core, qual caggìa
Novello amor ne' miei lacci: chi, o mia
Saffo, ti oltraggia?

S'ei fugge, ben ti seguirà tra poco,
Doni farà, s'egli or ricusa i tuoi,
E s'ei non t'ama, il vedrai tosto in foco,
Se ancor nol vuoi.

Vienne pur ora, e sciogli a me la vita
D'ogni aspra cura, e quanto io ti domando
Che a me compiuto sia compi, e m'aita
meco pugnando. »
 
Totalmente estasiate da questo genio poetico, Casmi e Rosbì *.*

1 commento:

  1. Saffo é davvero una delle cose che ho studiato con maggiore interesse e piacere in letteratura greca, mi ha davvero affascinata. La sua poesia a volte straziante e triste e a volte piú lieta é davvero bella da leggere e capire. é davvero un peccato che non siano giunti fino a noi tutti i suoi scritti.

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