martedì 14 giugno 2011

Incipit di ''L'amore non è il mio forte'' di Sarah Pekkanen

Buonasera Amici!!! Come state? Come vanno le vostre esistenze? Quest'oggi per concludere in bello la giornata volevamo lasciarvi l'incipit di un romanzo davvero frizzante, spiritoso e divertente che già precedentemente vi avevamo proposto a Cioccolibriamo! E abbiamo quasi terminato di leggere. Stiamo parlando di... ''L'amore non è il mio forte di Sarah Pekkanen'' ! Preparatevi a farvi contagiare dall'umorismo di Linds e dalla seducente bellezza di Alex, due gemelle che non potrebbero essere più diverse ed esplosive, le risate sono assicurate!
Però prima di tuffarci nelle avventure di queste due pazzerelle protagoniste prepariamo uno snack per fare una piccola pausa dopo... E sapete a cosa stavamo pensando? (no che non lo sapete, non ve l'abbiamo ancora detto, che intelligentone!) Pop Corn al miele!!! Avete capito bene, Pop Corn al miele, i preferiti dai protagonisti di questo libro, perciò affrettatevi ed aiutateci a preparare questa bizzarra delizia!


L'amore non è il mio forte
Appena aprii la pesante porta a vetri della Richards,
Dunne & Krantz mi accorsi che, nel lungo corridoio che
portava agli uffici dei dirigenti, c’era una luce accesa.
Non c’erano mai luci accese a quell’ora del mattino.
Affrettai il passo.
Avvicinandomi, mi resi conto che il bagliore proveniva
dal
concedermi un sonnellino e una doccia, ma avevo chiuso
la porta a chiave, ricontrollando due volte. Ora, però, là
dentro c’era qualcuno.
Mi misi a correre in preda al panico: avevo lasciato
il mio storyboard in bella vista? Possibile che qualcuno
stesse cercando di sabotare la campagna pubblicitaria su
cui avevo sudato sangue per settimane e da cui dipendeva
tutto il mio futuro?
Piombai dentro proprio mentre l’intruso allungava
una mano verso qualcosa sulla mia scrivania.
«Lindsey! Mi hai quasi fatto venire un colpo!» mi rimproverò
la mia assistente, Donna, bloccandosi nell’atto di
posare un caffè fumante.
«Oddio, scusa» mormorai, prendendomi mentalmente
a schiaffi. Se mai fossi finita a cercare la mia anima
gemella in rete – cosa ormai sempre più probabile – nel
descrivere la mia personalità avrei dovuto barrare la ca
mio ufficio. Ero andata a casa verso le quattro per10
sella “schizzata e paranoica”. Meglio procurarsi una transenna
per tenere a distanza gli scapoli di New York.
«Non mi aspettavo di trovare qualcun altro in ufficio
a quest’ora» le spiegai, mentre il respiro si regolarizzava.
Promemoria: iscriversi in palestra. Uno scatto di neanche
venti metri non può lasciarti senza fiato. Chissà poi quante
volte ci sarei entrata in quella palestra, visto che erano
due anni che mi ripromettevo di fare l’iscrizione.
«Giornata importante, oggi» disse la mia assistente porgendomi
il caffè.
«Sei un tesoro.» Chiusi gli occhi irritati, ne bevvi un
sorso e sentii quel miracolo liquido scorrermi nelle vene.
«Ne avevo proprio bisogno. Non ho dormito granché.»
«E non hai nemmeno fatto colazione, vero?» chiese lei
con le mani sui fianchi. Se ne stava lì, in tutto il suo metro
e cinquanta, con l’aria di una candida nonnina brava a
ricamare centrini. Che però non avrebbe esitato a schizzare
su dalla sedia a dondolo per imbracciare un fucile a
canne mozze, se qualcuno la faceva arrabbiare.
«Mangerò di più a pranzo» risposi in maniera elusiva,
evitando il suo sguardo.
Dopo cinque anni non mi ero ancora abituata all’idea
di avere un’assistente, figuriamoci una che aveva trent’anni
più di me e guadagnava un terzo del mio stipendio.
Donna e io sapevamo che, tra le due, era lei a portare
i pantaloni, ma il segreto della nostra intesa era fingere
il contrario. Un po’ come i miei genitori: mamma si rimetteva
sempre all’autorità di papà, ma solo dopo averlo
subdolamente costretto a pensarla come lei.
«Vado a parlare con quelli del catering. Immagino di
non doverti passare nessuna telefonata stamattina.»
«Esatto, grazie. A meno che non si tratti di un’emergenza.
O di Walt, del reparto creativo: è fuori di sé per il
corpo del testo, e devo tranquillizzarlo. Oppure di Matt:
voglio rivedere di nuovo tutto con lui. E fammi pensare,
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chi altri... Ah, chiunque chiami dalla Gloss Cosmetics,
naturalmente. Oddio, saranno qui tra...» Guardai l’orologio
e mi si mozzò il respiro. «Due ore.»
«Aspetta un attimo, signorina» mi ordinò Donna con
l’inconfondibile tono di chi comanda. Andò alla sua scrivania
e tornò con un muffin ai mirtilli in un sacchettino
di carta e due pastiglie di analgesico.
«Sapevo che non avresti mangiato niente, così ne ho
preso uno in più. E... ti sta tornando il mal di testa, vero?»
«Sì, ma non è così forte» mentii. Allungai la mano per
prendere le pillole, sperando che Donna non si accorgesse
che mi ero mangiata le unghie. Di nuovo.
Quando finalmente chiuse la porta del mio ufficio,
sprofondai nella poltrona di pelle e bevvi un altro lungo
e gradevole sorso di caffè. La luce del primo mattino
che entrava dalle finestre alle mie spalle faceva brillare la
statuetta dorata dei Clio Awards sulla scrivania. Ci passai
sopra un dito perché mi portasse fortuna, come facevo
sempre prima di una presentazione.
La toccai di nuovo. Quel giorno non si trattava di una
presentazione come le altre; c’era in ballo molto più di
un contratto multimilionario. Se facevo il colpaccio, la
Gloss Cosmetics si sarebbe aggiunta alla lista dei nostri
clienti... Chiusi gli occhi. Meglio lasciare quel pensiero a
metà, non volevo portarmi sfortuna da sola.
Mi alzai di scatto e attraversai la stanza per guardare
ancora una volta le mie “creature”, un altro dei miei rituali
superstiziosi nelle giornate importanti. Avevo una
parete tappezzata di cornici nere, semplici ma costose,
ognuna con una pubblicità diversa: un papà in grembiule
rosso che cuoceva hot dog alla griglia; una coppia elegante
che affondava i piedi scalzi nel tappeto nuovo; una
giovane donna in carriera a bordo di un aereo, comodamente
distesa su una poltrona di prima classe. Con l’aria
beata
.
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Sorrisi al ricordo di quella campagna. Mi ci erano voluti
due settimane e tre focus group per scegliere l’aggettivo
beata
poco l’intero affare non era andato a monte all’ultimo
secondo perché la modella prescelta aveva la stessa identica
pettinatura dell’ex moglie del cliente, proprietario di
una compagnia aerea, la quale lo aveva convinto dell’inutilità
di un contratto prematrimoniale in presenza di vero
amore. Se non avessi intravisto un barattolo di gel per
capelli da cinque dollari nella valigetta del truccatore,
e implorato il cliente di concederci altri trenta secondi,
l’agenzia avrebbe perso un contratto da due milioni di
dollari per colpa di un caschetto ad altezza mento. Che
i clienti fossero capricciosi era risaputo e, normalmente,
più erano ricchi, più erano strambi.
Quello che stavo per incontrare possedeva mezza
Manhattan.
Presi il bozzetto che il mio team creativo aveva preparato
per la Gloss e lo esaminai per la milionesima volta,
in cerca di difetti inesistenti. Avevo passato tre lunghe
settimane a morire su ogni singolo dettaglio di quella
campagna, ma per presentarla avrei avuto a disposizione
sì e no una decina di minuti di lì a... Guardai di nuovo
l’orologio: un altro tuffo al cuore.
Casmi e Rosbì :)


 
anziché serena. E, nonostante tutto questo, per 


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