martedì 22 febbraio 2011

Letture serali :)

Ricordo ancora il mattino in cui mio padre mi fece conoscere il Cimitero dei Libri Dimenticati. Erano i primi giorni dell'estate del 1945 e noi camminavamo per le strade di una Barcellona intrappolata sotto i cieli di cenere e un solevaporoso che si spandeva sulla rambla ed Santa Mònica in una ghirlanda di rame liquido.
<<Daniel, quello che vedrai oggi non devi raccontarlo a nessuno>> disse mio padre. <<Neppure al tuo amico Tomàs. A nessuno.>>
<< Neppure alla mamma?>> domandai sottovoce.
Mio padre sospirò, trincerandosi dietro il sorriso dolente che lo seguiva come un'ombra nella vita.
<<Ma certo>> rispose a capo chino. <<Per lei non abbiamo segreti. Alei puoi raccontare tutto>>
Subito dopo la guerra civile, il colera si era portato via mia madre. L'avevamo sepolta a Montjuic, sotto una pioggia battente, il giorno in cui compivo quattro anni. Ricordo che quando domandai a mio padre se il cielo piangeva gli mancò la voce. Sei anni dopo, l'assenza di mia madre era ancora un grido muto, un vuoto che nessuna parola poteva colamre. Mio padre e io abitavamo in un piccolo appartamento di calle Santa Ana, vicino alla piazza della chiesa, sopra la libreria specializzata in edizioni per collezionisti e libri usati che era stata del nonno, un magico bazar che un giorno sarebbe diventato mio, diceva mio padre. Sono cresciuto tra i libri, in compagnia di amici immaginari che popolavano pagine consunte, con un profumo tutto particolare. Da bambino, prima di addormentarmi raccontavo a mia madre come era andata la giornata e quello che avevo imparato a scuola. Non potevo udire la sua voce né essere sfiorato dalle sue carezze, ma la luce e il calore del suo ricordo riscaldavano ogni angolo della casa e io, con la fede di chi conta ancora gli anni sulle dita delle mani, credevo che se avessi chiuso gli occhi e le avessi parlato, lei mi avrebbe ascoltato, ovunque si trovasse. A volte mi padre mi sentiva dal soggiorno e piangeva di nascosto. Ricordo che quella mattina di giugno mi ero svegliato gridando. Il cuore mi batteva come se volesse aprirsi un varco nel petto e fuggire via. Mio padre, allarmato, era accorso in camera mia e mi aveva preso tra le braccia per calmarmi.
<<Non mi ricordo più il viso della mamma. Non mi ricordo più il viso della mamma>> dissi con un filo di voce. Mio padre mi strinse forte. <<Non preuccuparti, Daniel. Lo ricorderò io per tutti e due.>>
Ci guardammo nella penombra, cercando parole che non esistevano. Per la prima volta notai che mio padre stava invecchiando e che i suoi occhi tristi erano rivolti al passato. Si alzo in piedi e aprì le tende per far entrare la tiepida luce dell'alba.
<<Su, Daniel, vestiti. Voglio mostrarti una cosa>> disse.
<<Adesso? Alle cinque del mattino?>>
<<Ci sono cose che si possono vedere solo al buio>> rispose sfoderando un sorriso enigmatico che doveva aver preso in prestito da un romanzo di Dumas.
Per strada si udivano solo i passi di qualche guardia notturna. I lampioni delle ramblas impallidivano accompagnando il pigro risveglio della città, pronta a disfarsi della sua maschera di colori slavati. All'altezza di calle Arco del Teatro svoltammo in direzione del Raval, passando sotto l'arca avvolta nella foschia, e percorremmo quella stradina simile a una cicatrice, allontanandoci dalle luci delle ramblas mentre il chiarore dell'alba cominciava a disegnare i contorni dei balconi e dei cornicioni delle case. Mio padre si fermò davanti ad un grande portone di legno intagliato, annerito dal tempo e dall'umidità. Di fronte a noi si ereggeva quella che a me pareva il cadavere abbandonato di un palazzo, un mausoleo di echi e di ombre.
<<Daniel, quello che vedrai oggi non devi raccontarlo a nessuno. Neppure al tuo amico Tomàs. A nessuno.>>
Ci apri un ometto con la faccia da uccello rapace e i capelli d'argento. Il suo sguardo si posò su di me, impenetrabile.
<<Buongiorno,Isac. Questo è mio figlio Daniel>> disse mio padre. <<presto compierà undici anni e un giorno mandera avanti il negozio. Ha l'età giusta per conoscere questio posto.>>
Isac ci invitò ad entrare con un lieve cenno del capo. Dall'altrio immerso in una penombra azzurrina, si intravedevano uno scalone di marmo e un corridoio affrescato con figure di angeli e di creature fantastiche. Seguimmo il guardiano fino ad un ampio salone circolare sovrastato da una cupola da cui scendevano lame di luce. Era un tempio tenebroso, un labirinto di ballatoi con scaffali altissimi zeppi di libri, un enorme alveare percorso da tunnel, scalinate, piattaforme e impalcature: una gigantesca biblioteca dalla geometria impossibile. Guardai mio padre a bocca aperta e lui mi sorrise ammiccando.
<<Benvenuto nel Cimitero dei Libri Dimenticati, Daniel.>>

Carl Ruiz Zafòn - L'ombra del vento

Ecco un piccolo stralcio delle meravigliose pagine di '' L'ombra del vento '' (di cui speriamo di potervi parlare presto), domani sera il prosieguo...

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